Quando
il vulcanico produttore e industriale Howard
Hughes fece uscire il suo film Scarface (1932),
la censura pretese che fosse sottotitolato con l’espressione The shame of a Nation, ossia la
vergogna di una Nazione, poiché vi era il motivato dubbio che le persone
potessero fraintendere il film come un elogio del crimine organizzato e della sua
spietatezza. Così, del resto, è avvenuto con i film di Coppola e con le recenti serie televisive ispirate al mondo della
mafia, in tutte le sue declinazioni.
Il
film Gangster
Squad (2013) di Ruben Fleischer
è stato da più critici accusato di fare eccessivo uso della violenza, di indulgere nella dimostrazione dell’efferatezza che uno psicopatico – fiancheggiato da
altri della medesima risma, - può raggiungere in un contesto privo di freni
inibitori. Ora, se accettiamo il primo ragionamento circa Hughes, non possiamo
rigettare la dimostrazione di eventi violenti ché anzi essi, si spera,
dovrebbero convincere lo spettatore medio che non vi è nulla di poetico, o
romantico o persino eroico (un ben malinteso eroismo di miltoniana ascendenza,
a volerlo nobilitare) in un capo mafia che ordina di squartare un rivale a metà
con due automobili lanciate in direzioni opposte o che fa trapanare il cranio
ad un tirapiedi che gli aveva perduto un carico di cocaina.

Non
un Satana prometeico – e Fleischer ben lo rende evidente, - ma la patetica
figura di un fallito incapace di accettare il suo fallimento nella società
degli onesti che cerca, trovandolo, un riscatto in quella del crimine. Meglio regnare all’Inferno che servire in
Paradiso, si potrebbe dire, ma Mickey Cohen in questa pellicola fa solo la
magrissima figura di un violento, caratteriale psicopatico che non ha ancora
trovato qualcuno capace (o desideroso) di opporglisi.
Il
sergente John O’Mara (Josh Brolin) è
questo qualcuno. E’ il più stupido di tutti: in una città in cui Cohen controlla
giudici, avvocati, poliziotti, rifornendoli di prostitute e alcool, lui sembra
passare in mezzo a tutto questo marciume come un vendicatore inattaccabile. Arresta
gli uomini di Cohen finendo per beccarsi un quasi licenziamento dal suo capo.
Epperò
c’è sempre qualcuno – diceva Burke,
- disposto a non stare fermo mentre il male prospera. Così O’Mara viene
convocato dal Capo della Polizia (Nick
Nolte), apparentemente per prendersi un’altra ufficiale rimostranza, ma gli viene
invece chiesto di costituire una squadra speciale, formalmente inesistente, una
squadra che batta Mickey sul suo stesso terreno, che non si faccia problemi ad
usare i suoi metodi: una Gangster Squad.

Infine,
dopo una inevitabile morte all’interno del gruppo, dopo il presunto abbandono
di Wooters, dopo che tutto sembra di nuovo saldamente nelle mani di Cohen, O’Mara
riesce finalmente a stanare il malvivente dall’hotel in cui si è asserragliato
e ad assicurarlo alla giustizia, anche e soprattutto grazie alla testimonianza
di Grace che ha visto l’ex partner commettere tutti i delitti più nefandi.

E
poi, cosa da non trascurare, c’è da dire che si tratta anche qui di un fatto vero:
esisteva Mickey Cohen ed esisteva John O’Mara come pure era reale la
Gangster Squad, sorella postuma delle Squadre che il famoso Mori, il Prefetto d’Acciaio,
aveva allestito in Sicilia su ordine di Mussolini per debellare la Mafia. Carta
bianca sui metodi, purché si raggiunga il risultato. Del resto, non è forse ciò
che si fu costretti a fare anche con Hitler?
Il
personaggio di John O’Mara è la vera gemma di questa pellicola. Non è un santo,
anzi, non è probabilmente nemmeno un bravo marito: ma è un uomo che sa cosa è giusto
e cosa non lo è. Soprattutto, è uno di quelli che non se ne vanno quando le
cose si mettono al peggio. Vede il male, lo guarda negli occhi e invece di girarsi
dall’altra parte o prendere una bustarella, lo affronta. Dovesse costargli la
vita, la famiglia, gli affetti. Perché, sempre con Burke, non è il male che
trionfa da solo ma sono i buoni, che scelgono di non fare nulla, a dargli una
mano.

Mandatemi anche nel più pericoloso dei
luoghi, ma mandatemici con Ernest Shackleton, disse uno dei componenti della
famosa spedizione polare perduta e infine salvata dall’esploratore britannico.
Ecco, potremmo dire qualcosa di simile: passino la corruzione, il malcostume, la
violenza ma dateci almeno un John O’Mara.
©
2018 CINEVECIO e Gaspare Battistuzzo-Cremonini. RIPRODUZIONE RISERVATA.
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